Festa del Cinema di Roma. Birds without names. Regia: Kazuya Shiraishi. Selezione ufficiale.

di Emiliano Baglio 03/11/2017 ARTE E SPETTACOLO
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Birds without names. Regia: Kazuya Shiraishi. Selezione ufficiale.

 

Towako (Yu Aoi) vive con Jinji (Sadawo Abe), un uomo goffo e sporco di quindici anni più vecchio di lei. La donna odia l’uomo che tuttavia la mantiene e sembra avere una vera e propria adorazione nei suoi confronti. Towako porta ancora su di sé le ferite ed il ricordo della precedente relazione con Kurosaki (Yutaka Takenouchi), un uomo ricchissimo che l’ha lasciata riempiendola di calci e pugni. Quando la donna conosce Mizushima (Tori Matsuzaka) la storia sembra destinata a ripetersi.

 

Birds without names è un giallo dell’anima.

Kazuya Shiraishi adotta una struttura che ricorda molto Gone girl di David Fincher (http://www.euroroma.net/articolo.php?ID=3447).

Il suo film infatti alterna il presente con il passato attraverso flashback onirici.

Così man mano che la narrazione procede lo spettatore viene a conoscenza anche del passato di Towako. Tuttavia ogni nuovo tassello aggiunto in realtà non fa altro che rimettere in discussione quanto già visto dando spesso un senso nuovo ai fatti raccontati.

Gli interrogativi e le rivelazioni si susseguono ma ogni volta si ha l’impressione di aver capito tutto ecco che improvvisamente Birds without names ci costringe a rimettere in discussione le nostre certezze e a rileggere quanto appreso adottando un nuovo punto di vista.

Ne è un esempio il destino di Kurosaki, Com’è scoparso l’uomo? Dietro ci sono gli strozzini ai quali doveva dei soldi, oppure Jinji o la stessa Towako? E per quale motivo Jinji segue Towako quando si incontra con il nuovo amante? Si tratta solo di gelosia oppure l’uomo ha in mente qualcos’altro?

Anche gli oggetti, le frasi e le azioni compiute nel film assumono di volta in volta un significato diverso. L’orologio che Kurosaki porta a Towako si rivela un oggetto di poco prezzo comprato su di una bancarella, il racconto del viaggio compiuto dall’uomo in realtà è stato preso da un catalogo di viaggi ed anche Jinji che lava la camicia sporca di sangue alla fine si rivela un gesto pieno di significato e legato indissolubilmente al passato.

Birds without names da questo punto di vista ha una struttura perfetta, va avanti e indietro nel tempo, si arrotola su se stesso, riparte ed ogni volta è come se lo spettatore dovesse ricominciare da capo.

 Ed infine, proprio quando i pezzi sembrano finalmente combaciare ecco che Shiraishi ci sorprende nuovamente con un finale apparentemente pleonastico e che invece è semplicemente meraviglioso.

Ancora una volta ripercorriamo tutta l’intera storia, dando ancora una volta un nuovo senso ai fatti narrati ed adottando questa volta il punto di vista di Jinji.

Arrivati a questo punto viene messa in discussione anche la stessa identità dell’uomo, presentato come un poveraccio goffo e sempre sporco e che invece, sul lavoro, viene chiamato capo.

Sorge allora spontaneo il sospetto che in realtà la sua intera vita altro non sia che una grande messa in scena che ha il solo scopo di far tornare il sorriso a Towako. Così il giallo improvvisamente si trasforma in una magnifica storia d’amore, nel racconto di un uomo totalmente devoto alla donna che ama e che fa di tutto perché essa sia felice e non ricordi mai più il suo terribile passato. Jinji si finge qualcosa di diverso da ciò che è e si trasforma in un buffone perché solo così riesce a far ridere la sua amata.

Per questo Birds without names alla fine è un giallo dell’anima. Un viaggio nella psiche tormentata di Towako alla ricerca della verità celata nei suoi ricordi rimossi, un percorso doloroso pieno di rivelazioni e false piste, ripartenze ed arresti, momenti tragici, brutali e violenti per giungere alla fine ad una libertà che ridoni ali agli uccelli e li faccia tornare a volare liberi così come si vede nell’ultima metaforica inquadratura.

Non sappiamo se Birds without names verrà premiato dal pubblico né se troverà mai una distribuzione. Ma certamente per noi è questo il titolo migliore tra quelli che abbiamo visto all’ultima Festa del cinema di Roma.

EMILIANO BAGLIO

 


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